sabato 17 novembre 2007

Louis Massignon


Louis Massignon. “Il mistico spione”

di Massimo Introvigne
(il Foglio, 12 novembre 2005)


"C'est la faute à Massignon". L'eminente teologo sunnita che mi riceve all'Università di Damasco è convinto che, nel bene e nel male, tutti i problemi della Siria moderna derivino dalle attività dello studioso cattolico dell'islam Louis Massignon (1883-1962). Lo stesso concetto mi viene ripetuto all'Istituto Francese di Damasco - che su Massignon conserva importanti documenti -, al patriarcato melchita, dai francescani cattolici.
Figlio di una madre devotissima e di un padre celebre scultore e libero pensatore, Massignon è segnato nella giovinezza dalla frequentazione di un grande amico di famiglia, lo scrittore belga Joris-Karl Huysmans (1848-1907), passato dal decadentismo a un fervente cattolicesimo. Huysmans introduce il giovane Massignon nella cerchia discreta dei "melanisti", che origina dalla divulgazione da parte della veggente dell'apparizione mariana di La Salette (1846), Mélanie Calvat (1831-1904), di un "segreto di La Salette" non riconosciuto come autentico e anzi condannato dalla gerarchia ecclesiastica, che pure aveva riconosciuto i fatti del 1846. Il più acceso dei melanisti è lo scrittore cattolico francese Léon Bloy (1846-1917), che introduce al melanismo Jacques Maritain (1882-1973), il filosofo da lui convertito - un grande amico di Massignon - e numerosi altri intellettuali.
Il presunto segreto di La Salette minaccia avvenimenti apocalittici, castigo divino per l'infedeltà dei sacerdoti (diventati "cloache di impurità") e di una borghesia cattolica insensibile al grido di dolore dei poveri. Preannuncia anche una restaurazione della giustizia concessa da Dio grazie alla "sostituzione" di anime che si offrono come vittima per espiare i peccati. Molti melanisti pensano a una restaurazione della monarchia e sono più o meno segretamente naundorffisti: credono cioè alla pretesa dell'avventuriero Louis Naundorff (1785-1845) di essere Luigi XVII, il figlio di Luigi XVI (1754-1793) e di Maria Antonietta (1755-1793) - a sua volta considerata una santa da Massignon -, miracolosamente sopravvissuto alla prigione del Tempio.
Di Massignon, come in una canonica di Damasco mi ripete un vecchio francescano, non si capisce nulla senza il riferimento a La Salette. Così la sua avversione per la dinastia degli Omayyadi, i primi califfi sunniti che avrebbero conculcato il giusto diritto di ‘Ali (morto nel 661), cugino del Profeta e suo genero in quanto marito della figlia prediletta Fatima, nasce da un parallelo fra i discendenti di ‘Ali e la famiglia Naundorff, e vede nelle ingiustizie contro i figli di ‘Ali e Fatima una "figura" delle ingiustizie della Francia contro i discendenti di Luigi XVI. Pure non insensibile ai magnifici monumenti omayyadi di Damasco, Massignon si accosta alla rivendicazione dei partigiani di ‘Ali, gli sciiti, e per primo in Occidente studia le sette dette iper-sciite che considerano ‘Ali non solo una vittima delle ingiustizie sunnite ma un'incarnazione divina e il rivelatore di dottrine esoteriche. Tra questi iper-sciiti ci sono gli alauiti siriani, minoranza (12%) in un paese all'ottanta per cento sunnita. Massignon non solo li fa conoscere, ma tesse una trama di relazioni che contribuisce in modo decisivo a farne i migliori amici della Francia nel complicato scenario siriano. Sarà grazie all'appoggio francese che gli alauiti - e in particolare i membri della famiglia Assad - occuperanno posizioni decisive nell'Esercito il che permetterà loro, dopo l'indipendenza, di impadronirsi del potere.
Massignon aveva sfogato nell'islamistica la sete di conoscenza religiosa che - quando era ancora un libero pensatore come il padre - l'influenza di Huysmans gli aveva trasmesso, diventando prima il più brillante laureato (con una monumentale tesi sul mistico sufi Hallaj, 858-922, crocifisso come eretico), poi uno dei più giovani docenti della Sorbona. Ma era anche un patriota francese, che lavorava per i servizi segreti. Amico di Charles de Foucauld (1858-1916), che il Papa si appresta oggi a beatificare, gli era unito da un'istintiva simpatia per i musulmani, ma la differenza fra i due militari - Foucauld uomo dell'esercito e Massignon dei servizi - spiega anche qualche divergenza. Nel 1908, imprigionato nel corso delle sue attività spionistiche in Irak, Massignon ha una visione mistica da cui emerge convertito al cattolicesimo e deciso a rinunciare anche a un aspetto della sua vita su cui molti biografi pudicamente tacciono: la bisessualità e il legame omosessuale con lo scrittore spagnolo convertito all'islam Luis de Cuadra (1877-1921), che morirà suicida e per la cui anima l'islamologo francese continuerà a offrirsi come "sostituto" per tutta la vita.
Sposato con una cugina e padre di tre figli, nello stesso tempo legato all'intellettuale cattolica di rito melchita Mary Kahil (1889-1979) da un affetto espresso in lettere così appassionate da far dubitare a più di un biografo che si trattasse solo e sempre di amore spirituale, Massignon continua a riflettere sulla "questione omosessuale". Vi vede tra l'altro l'origine in Occidente dell'iniziazione e dell'esoterismo che nascerebbero da società segrete che stabiliscono legami fra uomini da cui le donne sono escluse. La tesi è storicamente insostenibile, ma non vuole essere un attacco agli esoteristi, perché prima di passare all'atto - questo sì per il Massignon convertito "contro natura" - la tendenza omosessuale mirerebbe più o meno consapevolmente al nobile scopo di riparare alla ferita inferta all'umanità con la divisione costituita dalla scissione di Adamo in se stesso e dalla nascita di Eva dal suo costato. Tesi di sapore gnostico, inaccettabile in un ambiente cattolico che pure discretamente accoglie la proposta di Massignon di lanciare una campagna di preghiere per gli omosessuali, in particolare tramite messe celebrate dal 1942 a Parigi, senza troppa pubblicità, dal futuro cardinale Jean Daniélou (1905-1974).
Il Massignon uomo di intelligence e diplomatico sta alla Francia e alla Siria come Thomas Edward Lawrence (il famoso "Lawrence d'Arabia", 1888-1935) sta alla Gran Bretagna e alla penisola arabica. Quando nel 1916 sono conclusi gli Accordi Sykes-Picot, che dividono il Medio Oriente in zone d'influenza attribuendo alla Francia la Siria e il Libano e alla Gran Bretagna la penisola arabica e l'attuale Iraq, sono Massignon e Lawrence i principali esperti che partecipano alle trattative.
La visione dei musulmani di Massignon - la si condivida o no - è diventata a partire dalla Seconda guerra mondiale il punto di partenza per tutta la riflessione cattolica sull'islam. Massignon non dimentica di essersi convertito al cattolicesimo grazie all'esempio di fede vissuta offerto dai musulmani. Nel 1934 decide con Mary Kahil di fondare la Badaliya ("Sostituzione"), società di preghiera cattolica modellata sulle confraternite sufi e che impegna i membri a una serie di preghiere e atti, soprattutto in terra islamica, con cui si offrono a Dio "sostituendo" la loro opera a quella dei musulmani che rifiutano il cristianesimo. Il membro più illustre (e discreto) della Badaliya sarà il cardinale Giovanni Battista Montini (1897-1978), futuro Papa Paolo VI. Le nozioni di sostituzione e di ospitalità (una virtù sottolineata dall'islam) sono al servizio di un'idea di evangelizzazione dei musulmani che in Massignon non passa per la tradizionale missione ad gentes ma per l'esempio silenzioso (che possono dare anzitutto gli ordini religiosi, specie contemplativi, operando in terra islamica) e per un delicatissimo sforzo che miri a far maturare i "germi di cristianesimo" che esisterebbero, nascosti, nell'islam.
Massignon è uno studioso troppo raffinato per farsi illusioni: egli definisce l'islam un mondo di pura fede, privo di speranza e di carità, il Corano un libro che stabilisce al contrario del Vangelo una barriera invalicabile fra il Creatore e la creazione, la stessa esperienza del Profeta una via che volontariamente si arresta, senza entrarvi, sulle soglie di un rapporto personale con Dio. Massignon non è un cripto-musulmano. Tuttavia egli pensa che l'islam faccia parte della storia della salvezza biblica grazie alla discendenza diretta degli arabi (che per Massignon - contro i lettori storico-critici della Bibbia, con cui è insieme severo e ironico - è un fatto storico) da Ismaele, figlio di Abramo e della schiava egiziana Agar, esiliato nel deserto per ordine di Dio ma pur sempre oggetto di una speciale benedizione divina (Genesi 21, 13). L'islam è la realizzazione nella storia della benedizione di Ismaele. Dal momento che "regredisce fino a prima di Mosé e della Rivelazione", non si tratta per Massignon di un'eresia postcristiana ma di uno "scisma abramico". L'islamologo francese chiede alla teologia cattolica di riconoscere per l'islam quello che altri chiedono per l'ebraismo: ammettere che c'è un tempo teologico che non coincide con il tempo storico, e che, come gli ebrei, i musulmani vivono in un loro tempo particolare che non coincide con quello dei cristiani e in cui resta in vigore per gli islamici il patto fra Dio e Abramo relativo alla progenie di Ismaele.
Un tentativo in questo senso è fatto da vescovi e cardinali al Concilio Vaticano II con un apposito emendamento della Lumen Gentium, che è però respinto a maggioranza. La tesi di Massignon che include l'islam nella storia della salvezza è stata oggetto di severe critiche sul piano storico e teologico, e i discepoli più fedeli dell'islamologo francese oggi ammettono che è stata implicitamente respinta dal magistero cattolico con la dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede Dominus Iesus del 2000 e con la Notifica del 2001 della stessa Congregazione che condanna una serie di tesi del gesuita Jacques Dupuis. Dopo questi documenti, firmati entrambi da quel cardinale Joseph Ratzinger che è oggi Papa Benedetto XVI, sembra impossibile sostenere che l'islam è via ordinaria alla salvezza e il Corano un libro rivelato nel senso teologico del termine. Non se ne sarebbe stupito più del tanto lo stesso Massignon, che spesso riconosceva il carattere dubbio della sua posizione, ammettendo di non essere un teologo.
Ma non si fermava qui. Mentre vedeva nell'islam sunnita il custode dell'ortodossia e quindi della benedizione di Ismaele, era - per così dire - problematicamente affascinato dal sufismo e dalle eresie. Nel sufismo trova infatti un tentativo di superamento della barriera invalicabile fra Creatore e creature eretta dal Profeta e dal Corano; e nelle eresie - oltre che nella devozione popolare - una serie di ipotesi e di leggende in qualche modo aperte verso il cristianesimo. La sua attenzione si appunta sulla venerazione di Fatima, che considera figura di quella Vergine Maria apparsa - per Massignon, non casualmente - dopo La Salette in una località portoghese che si chiama appunto Fatima, e soprattutto sulla figura di Salman Pak, un cristiano persiano che fu barbiere e consigliere del Profeta e che secondo alcune leggende pur riconoscendo in Muhammad l'inviato di Dio non avrebbe mai abiurato il cristianesimo. Presso le eresie iper-sciite, in particolare gli alauiti, Salman Pak forma addirittura con ‘Ali e Muhammad una trinità nessuno dei cui membri è considerato "Dio per essenza" ma cui è attribuita (Dio essendo ineffabile e inconoscibile) una "deificazione per partecipazione". Il culto di Salman Pak nelle corporazioni di mestiere arabe, conosciuto in Occidente dopo le Crociate, avrebbe influenzato secondo una (dubbia) tesi di Massignon anche la nascita della massoneria.
Il rovescio meno simpatico di queste teorie è l'idea che funzione provvidenziale dell'islam sarebbe anche denunciare ai cristiani il volto oscuro dell'ebraismo e del sionismo, nemici degli oppressi e dei poveri. In questa chiave si comprende come negli ultimi anni della sua vita un mistico come Massignon sfili per i diritti dei palestinesi (nonché degli algerini e degli immigrati) in compagnia dei comunisti e di Jean-Paul Sartre. Il suo antisionismo ha spesso accenti di autentico antisemitismo, con invettive contro "l'usuraio ebreo succhiatore del sangue del povero, come avrebbe detto Léon Bloy". Massignon crede anche - nonostante tutte le smentite della critica storica - al mito dell'omicidio rituale, da parte degli ebrei, di cristiani di cui berrebbero il sangue, e rivendica in particolare la storicità dell'assassinio rituale da parte di ebrei siriani di padre Tommaso da Calangianus (1766-1840), cappuccino scomparso a Damasco nel 1840. È oggi storicamente certo che di quel delitto la comunità ebraica era innocente: tuttavia nella chiesa dei francescani di Damasco una lapide ricorda ancora padre Tommaso come "assassinato dagli ebrei". Mi si dice che non si può toglierla perché non lo vuole l'attuale governo siriano, che continua a stampare opere antisemite sul caso del 1840. Ma anche che Giovanni Paolo II, in visita a Damasco nel 2001, non volle commemorare nella chiesa che custodisce la lapide antisemita gli otto francescani martiri di Damasco del 1860, che vi sono sepolti e di cui certamente si conoscono gli uccisori - musulmani -, e preferì ricordarli altrove.
Ma Massignon torna sempre a La Salette: per lui il riferimento di Mélanie ai preti "cloache di impurità" si riferisce sia ai sacerdoti cattolici imborghesiti sia al "popolo sacerdotale", gli ebrei. Del resto, secondo l'islamologo, sarebbe per la scarsa pietà per gli oppressi della Terra (tra cui i musulmani) che "la tentazione del crimine rituale non ha sempre potuto essere vinta da Israele né dal clero" cattolico. Per quest'ultimo il riferimento è alle Messe nere celebrate da "preti indegni" descritte dal primo maestro di Massignon, Huysmans, il quale peraltro lasciò anche in eredità all'islamologo strani documenti sui pericolosi contatti fra ambienti melanisti e preti ai limiti del satanismo come Joseph-Antoine Boullan (1824-1893).
E tuttavia, sempre ispirato dall'idea secondo cui nella sofferenza "sostitutiva" si può riscattare ogni tipo di peccato, Massignon vuole diventare egli stesso prete nel 1950. Contrariamente a quanto riportano molti biografi, non è ordinato come sacerdote nel rito melchita, che accetta a particolari condizioni gli uomini sposati (ma con il consenso formale della moglie, che nel suo caso manca), grazie a una speciale dispensa della Santa Sede. Alla richiesta del patriarcato melchita il Vaticano risponde negativamente: ma la risposta arriva quando i melchiti, stanchi di attendere, hanno interpretato il silenzio come assenso e ordinato Massignon, così che a Roma non resta che accettare il fatto compiuto.
Accademico, mistico, diplomatico, prete, spia Massignon resta il nume ispiratore di una lobby islamofila cattolica, che però spesso ne riprende gli aspetti meno condivisibili - una teologia dell'islam avventurosa, un anti-americanismo tipicamente francese, un antisionismo pericolosamente vicino all'antisemitismo - senza avere né la sua prodigiosa erudizione né la sua consapevolezza delle difficoltà insormontabili nel dialogo con i musulmani, e spesso senza la sua disponibilità a pagare di persona, oggetto insieme di indagini del Sant'Uffizio e di fatwa dell'Università al-Azhar del Cairo che lo denunciano come cripto-missionario. Quanto al medio siriano, sa che Massignon e i suoi consigli, ascoltati, alla diplomazia francese c'entrano molto con il dominio che la minoranza alauita continua a esercitare sulla maggioranza sunnita. Ma ignora da quale strano impasto, che va da Mélanie al barbiere del Profeta passando per una soluzione mistica della questione omosessuale e per il culto di Maria Antonietta, partano questi consigli. In fondo, quando un ex-amico, Pierre Klossowski (1905-2001), attaccherà Massignon nel 1950 nel romanzo La vocazione sospesa, in cui allude anche in modo trasparente alle sue tendenze bisessuali, nasconderà l'islamologo sotto lo pseudonimo "La Montagna". Un'allusione non ai monti del Libano ma alla montagna dell'apparizione della Madonna a La Salette.

Sempre su Louis Massignon


Tomba di Abramo
di Enzo Bianchi
“Avvenire” 31 ottobre 2002


"Sono stato a Hebron il 13 gennaio scorso (1952). Ci tengo molto ad andare in quel luogo: c’è la tomba di Abramo, il patriarca dei credenti, ebrei, cristiani e musulmani; egli è anche l’eroe dell’ospitalità, del diritto d’asilo. Sono convinto che esiste una certa ‘curvatura’ del tempo e che la fine delle civiltà le riporterà alla loro origine e che questa ‘curvatura’ del tempo ne costituisce lo scopo. Penso che alcuni problemi dell’inizio dell’umanità siano gli stessi che si porranno alla fine, in particolare quello del carattere sacro del diritto d’asilo e quello del rispetto dello straniero". Fa un certo effetto leggere queste parole di Louis Massignon mezzo secolo dopo, mentre si ricordano i quarant’anni dalla sua morte. Fa effetto leggerle, così come fa effetto ripercorrere la vita e il pensiero di questo cristiano appassionato dell’Oriente e dell’Islam, di questo studioso che – come osservano i curatori del volume di suoi scritti L’ospitalità di Abramo edito dalla Medusa e in libreria proprio in questi giorni – "ha avuto salva la vita e contemporaneamente ha ritrovato la fede a Baghdad nel 1908, grazie alle preghiere di alcuni pii musulmani, i quali, ripetendo il gesto di Abramo e fedeli alla parola data, si erano fatti garanti di lui accogliendolo come ospite". Fanno effetto, dicevamo, perché tutto oggi sembra andare in direzione opposta nelle nostre società opulente: paura del diverso, diffidenza verso lo straniero, ostilità invece di ospitalità, esilio come condanna implicita a chi chiede asilo, espulsioni come facile soluzione alla difficile accoglienza...
Eppure, non è che nella prima metà del secolo scorso la situazione si presentasse più incoraggiante per chi fosse animato da sincera passione per la concordia tra le tre religioni monoteiste del Mediterraneo: lo sfaldarsi dell’impero ottomano, la colonizzazione e poi le prime avvisaglie delle lotte per l’indipendenza nel nord Africa, la nascita dello stato di Israele e il contestuale insorgere del problema dei profughi palestinesi erano piaghe dolorose che si aggiungevano alle tragedie più vaste causate dalle due guerre mondiali. In questo contesto ecco apparire l’ostinata, paziente opera di un uomo di dialogo che crede nell’ospitalità, nell’accoglienza dell’altro come dono che non solo scende dall’alto, dal Dio che tutti ci accoglie, ma che gli uomini si devono offrire reciprocamente, nel riconoscimento della fraternità come condizione umana. Fratel Abramo (il nome che Massignon volle assumere diventando terziario francescano) sentirà come rivolta a sé la chiamata indirizzata da Dio ad Abramo: "Esci!". Esci dalla tua terra, dal tuo mondo culturale, dagli angusti orizzonti dell’Europa, dai binari troppo rigidi della riflessione teologica cattolica preconciliare; esci dalla presunzione che la verità la si possiede senza ricerca, senza accoglienza del dono, senza conoscenza dell’altro; esci dai luoghi comuni e dai pregiudizi verso i credenti delle altre religioni.
A questa chiamata fa seguito una risposta precisa, anch’essa mutuata dal cammino di fede del patriarca Abramo: "Eccomi!". Eccomi per scandagliare il mistero del dono, per dialogare con l’altro, l’estraneo, il diverso; eccomi diventato io stesso straniero e dialogo, incompreso con gli incompresi, politico con i politici, mistico con i mistici; eccomi narratore affascinato e affascinante della passione del mistico musulmano Al-Hallaj; eccomi osservatore straziato ma non rassegnato davanti alle sofferenze che i figli di Abramo si sono inflitti reciprocamente nel corso dei secoli e che ancora oggi affliggono gli autentici operatori di pace. E ancora poco prima di morire, questo autentico "figlio di Abramo", quest’uomo dal cuore universale vedrà non solo compiersi nel sangue la conquista dell’indipendenza dell’Algeria, ma assisterà al tramutarsi in guerra della lacerazione storica tra le tre religioni del Libro aventi Abramo per padre: Massignon non potrà contemplare, come ancora non riusciamo a vedere noi, quella "visione di pace" che il nome ebraico stesso di Gerusalemme indica, nonostante la "Santa" (secondo il nome arabo) fosse per lui oggetto di un affetto e di un desiderio intensissimo: "È là che bisogna andare ad ascoltare, sotto l’erompere di profanazioni che annunciano il Giudizio, l’appello del nostro comune Padre, che chiama tutti i cuori che hanno fame e sete di Giustizia al pellegrinaggio alla Città Santa; appello che è stato qui ripetuto, al ritorno da una tredicesima visita compiuta non senza un grande desiderio, ancora inesaudito, quello di morirvi". Il desiderio inesaudito rimarrà tale: Massignon morirà il 31 ottobre 1962 in quella Parigi da cui era "uscito" sull’esempio di Abramo, ma ancora oggi la sua passione, la sua fedeltà alla Parola data ridanno speranza contro ogni messaggio brutale di morte e di odio che vorrebbe uccidere, assieme agli operatori di pace, anche la "visione" stessa della pace nella travagliata terra del Medio Oriente: "Preghiamo – è l’invito drammaticamente attualissimo di Massignon – perché le lacrime dei morti siano più forti delle grida di vendetta”!